giovedì 2 agosto 2007

VINCENZO VITIELLO - I tempi dellla poesia. Ieri/oggi




I TEMPI DELLA POESIA. IERI/OGGI

«Certo è strano non abitare più la terra» R. M. Rilke
«Tacite imagini della tristezza / Dal plàtano al prato!» C. E. Gadda

L’arte non abita più la regione ideale della Bellezza e del Significato. Ancora ieri la poesia viveva l’esperienza dell’estraneità dell’uomo alla Terra fidando nel potere del linguaggio e della ragione di portare pur il silenzio della natura e della morte alla
trasparenza della parola e del significato. La poesia di oggi, resa esperta, dalla più recente storia, della catastrofe dell’umano, cerca altro nelle macerie del linguaggio: non nuovi ‘significati’, ma un più antico suono, il respiro del corpo. Accostandosi
alla natura, questa poesia ridà alla parola significante dell’uomo il peso e l’umore della terra, delle erbe, delle pietre, degli animali. Ha appreso, e ci ha appreso che, oltre lo stare-insieme nella polis, v’è, anche per l’uomo, la possibilità di un più
aperto, ospitale stare-accanto, proprio dell’esperienza del sacro.
MIMESIS EDIZIONI / VOLTI 2007 - EURO 16,00


INDICE

INTRODUZIONE - Ieri/Oggi

IERI

CAPITOLO I - L’universo poetico di Rainer Maria Rilke.

I. «La prodigiosa miniera delle anime».
II. Il canto e la danza.

CAPITOLO II - Lo spazio verticale.

Parole e nomi nella Recherche.

CAPITOLO III - Sogni e specchi.

Labirinti borgesiani.

INTERMEZZO TEOLOGICO-FILOSOFICO

CAPITOLO I - Sul ritrarsi del linguaggio.

Benjamin e Heidegger a confronto.

CAPITOLO II - Dalla filosofia alla tragedia.

María Zambrano.

OGGI

CAPITOLO I - «Tacite imagini della tristezza / Dal plàtano al prato!»

La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda.

CAPITOLO II - Erbe e pietre: il linguaggio della natura.

Paul Celan.

CAPITOLO III - Poetica genealogia della parola.

Andrea Zanzotto

CONCLUSIONE








INTERVISTA
Intervista a Vincenzo Vitiello

di Federico Lijoi
http://www.filosofia.it/pagine/argomenti/Heidegeer_Marburg/heidegger_vitiello.htm


1) Innanzitutto una domanda sul tema del convegno: gli anni marburghesi di Heidegger. Possiede, secondo Lei, una certa unità e compattezza, e dunque anche specificità, questo periodo della produzione filosofica heideggeriana rispetto agli anni precedenti e seguenti, oppure no?

Gli anni di Marburg, in cui matura la prima grande opera di Heidegger, sono contrassegnati dallo spostamento dell’asse della riflessione heideggeriana da Aristotele a Kant. Beninteso il confronto col filosofo greco non venne meno, né allora, né in seguito; tuttavia, come attestano i corsi delle lezioni, è la filosofia trascendentale che domina la scena del pensiero di Heidegger a Marburg e pur negli immediatamente successivi (cfr. la Vorlesung dell’estate 1930, Vom Wesen der menschlichen Freiheit, la cui prima parte è dedicata ad Aristotele e la seconda alla filosofia morale di Kant, riguardo alla quale v’è da rilevare una interessante revisione di giudizio rispetto al Kantbuch del ‘29). Senza l’approfondita riflessione sullo schematismo, sulla facoltà d’immaginazione, sulla sensibilità non credo si possano comprendere i nodi fondamentali della tematica di Sein und Zeit, e in particolare l’inversione del principio su cui si regge l’intera impalcatura concettuale della filosofia aristotelica: il proteron energheia dynameos (Metaph., XII, 1072a, 9).

2) Il suo intervento, come si legge nel programma, verterà sul rapporto tra Heidegger e Husserl. Heidegger non risparmia neanche a lui la sua critica, accusandolo di muoversi sempre all’interno di uno Standpunkt ontico. Secondo Lei, quali sono gli aspetti più significativi della critica di Heidegger a Husserl?

Il rapporto Husserl-Heidegger ha molte facce, e non sempre Heidegger è una guida attendibile. Non è accettabile, ad esempio, la critica di teoreticismo e di soggettivismo che in più luoghi e in tempi diversi egli muove a Husserl: l’”intenzionalità” husserliana anticipa per molti aspetti il concetto dell’In-der-Welt-sein, ovvero la “necessità” della relazione dell’uomo al mondo (al mondo non all’ente soltanto). A mio avviso la vera distanza tra i due filosofi riguarda – mi esprimo volutamente in termini husserliani – non l’ego cogito, ma l’”io posso”. È la differenza tra l’epochè, ancora opera di un volere soggettivo, e l’Angst, che disvela Dasein quale “nullo fondamento di una nullità”, e cioè: non in potere di se medesimo. Sul preteso ”idealismo” (“soggettivismo”, “teoreticismo” …) delle Ideen, poi, si sono addensati molti equivoci. Il punto vero della questione, come dicevo prima, è l’epochè, in quanto opera del volere – tesi che Heidegger non poteva accettare (tornerò sul tema nella relazione).

3) Com’è possibile che Heidegger scinda il metodo dai contenuti e dai risultati della fenomenologia senza perderla del tutto ‘come fenomenologia’?

Per Heidegger la fenomenologia è una via (odos), e da questo concetto non mi pare si sia mai allontanato. Al contrario l’ha esteso: sempre la filosofia, o, se si preferisce, sempre il pensiero, è odos, e la concezione del “metodo” separato dai “contenuti” è proprio quanto di meno fenomenologico (id est: filosofico) si possa pensare. Su questo tema sarebbe interessante una approfondita riflessione sul rapporto non solo di Heidegger con Hegel, sì anche di Husserl con Hegel (ma è questione che travalica i confini del Convegno).

4) Crede che in Essere e Tempo il metodo fenomenologico sia in grado di reggere tutto ciò che in quest’opera viene affermato? Non crede che gran parte delle tesi di Essere e Tempo abbia carattere inferenziale ( l’ontologico come condizione e fondamento dell’ontico) piuttosto che fenomenologico?

Il fatto che la dimensione ontologica si riveli in Essere e tempo “condizione” (di possibilità, perché di comprensione) di quella ontica non comporta affatto che Heidegger derivi (“inferisca”) da quella questa. È vero giusto il contrario: alla dimensione ontologica egli giunge attraverso la “descrizione” della dimensione ontica. La fenomenologia di Heidegger (e non meno quella di Husserl, e qui ancora il raffronto con Hegel si rivela istruttivo) è un’opera di scavo. È, in senso letterale, cata-strofica, si volge al basso, al profondo: per portarlo alla luce. Das Ziel ist die Offenbarung der Tiefe: la differenza riguarda ciò che s’intende per “profondo”, non lo scopo, o meglio la “via”, che è la medesima – ripeto: un’operazione di scavo.

5) Lei ha assegnato, nei suoi saggi su Heidegger, un indiscutibile primato ad Essere e Tempo, considerando quest’opera non solo come idealmente ‘prima’ rispetto alla meditazione heideggeriana sulla storia dell’essere ma addirittura come un’opera del tutto ‘compiuta’ e come l’opera ‘più avanzata’ di Heidegger. Può spiegarci che cosa intende?

Per farlo in modo soddisfacente dovrei rinviare al libro del lontano 1976, Heidegger: il nulla e la fondazione della storicità (cinquecento pagine!). In questa sede debbo limitarmi a dare non più che un indice degli argomenti, scusandomi per la perentorietà delle affermazioni, dovuta alla concisione del discorso: a) Sein und Zeit non è comprensibile se non sulla base di una già realizzata “destruzione” (Destruktion) della storia della metafisica. In questo senso è l’”ultima” opera di Heidegger. b) È l’opera più “avanzata” perché affronta la questione della “differenza ontologica” come rapporto (Bezug) tra “nulla” ed “essere” e non tra “essere” ed “ente”. E cioè – per dire la cosa al modo in cui Heidegger la esporrà anni dopo (cfr. Der Spruch desAnaximander) – Essere e tempo si connette non al secondo inizio della metafisica occidentale (Platone) ma al primo (Anassimandro). c) È un’opera “compiuta” perché dopo la determinazione della Nullità che è al fondo di esserci, e di essere, non c’era altro da dire. La III sezione della I parte di Essere e tempo manca perché è già tutta nella II! Aggiungo: Sein und Zeit offre la più approfondita riflessione di Heidegger sul tema del “possibile” e delle sue modalità – e nel giudizio non dimentico i Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis).

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