giovedì 27 dicembre 2007

Francesco Tomatis, Vincenzo Vitiello : quando il verso si fa carne nel ’900, "Avvenire" 14 Novembre 2007

Un libro sui poeti quello recente del filosofo Vincenzo Vitiello , sui suoi poeti: Rilke, Proust, Borges, per dire il mondo di ieri, e Gadda, Celan, Zanzotto, a esperire la parola frantumata di oggi nel suo riemergere dalla nudità naturale, brutalmente sacra. Non quindi soltanto una raccolta di saggi interpretativi, ad analizzare e interrogare originalmente alcuni dei maggiori autori del secolo trascorso. Cosa di cui già dovremmo esser grati a Vitiello , per il suo paziente ascolto dello spazio poetico di essi, sino al risuonare delle singole, silenti note.
Ma soprattutto un’indagine sulla trasformazione della poesia, fra ieri e oggi, attraversandone i vertici artistici più intangibili ad udito alcuno, capace di farsi riflessione sul linguaggio, in un acuto confronto con Platone e Heidegger, Benjamin e Zambrano, ma anche ben più a fondo di loro.
Soltanto ieri, la poesia tentava la ricomposizione di un mondo. Fatto magari di una bellezza trasparente mortalità, ma comunque capace di dire ancora la frattura fra io e natura, fra il silenzio e la parola che di sé stessa sa dire anche nella distanza, nell’abbandono.
Rilke ne è il cantore esemplare, colui che esperisce ancora poeticamente l’estraneità dalla terra, che sa ascoltare l’aperto animale a partire dallo stesso mondo umano interpretato, che parla all’angelo benché nel gesto respingente della mano invocante il soccorso divino. Borges ne è il compimento alessandrineggiante, riccamente autoriflessivo, incapace del passo al fremito sacro e naturale.
Ma interno al Novecento s’è consumato un olocausto impio. Dalla fede nel linguaggio salvifico, nella bellezza capace di salvare il mondo, nel verbo che si fa carne e verso rivelativo, pur nella lacerazione fra uomo e Dio, la parola poetica s’è trovata rigirata nella catastrofe dell’umano e nelle macerie spesso putrescenti del linguaggio è riuscita talvolta, rarissime emersioni, ad ascoltare non più verità significative e bellezze ideali, piuttosto respiri corporei, presenze inorganiche, nature animali. Ed è oggi giunta, con Celan e Zanzotto in particolare, a porsi accanto al loro esser possibile meramente sacro: prima che la carne si sia fatta verbo.
È questa esperienza poetica quella che per Vitiello comporta il contegno del verso di fronte al sacro. Uno stare accanto alle cose, alla terra, alle mere presenze tacite, senza dialettizzarle in dialoghi o parole.
Esperienza primordiale che tuttavia deve attraversare le rovine del linguaggio e della storia umana, per poter accogliere veramente il verbo che si fa carne: riattingendo la sua preparazione mortale nella carne che innanzitutto deve ancora farsi verbo, prima di potersi divinamente incarnare.

Nessun commento: